Iridi vividi bu,
ferro e rame misurano
in stadi e singhiozzi
ciò che ci separa,
tra te, me e lei,
l’ingorda assenza.
Talvolta sentirsi strappato,
vestimento d’Arlecchino
lacerato
dagli artigli del Tempo,
culicchia blu Urano
delle nostre paure.
Tamburellanti dita che,
in modo inaspettato,
cuciono assieme accordi di pensieri,
posati come noccioli di
ciliegie
sputati sul giardino, florido,
della mia giovinezza.
Tu non sei un fiore al
limitare del bosco,
ma il fungo che penetra
la terra odorosa,
dai il sapore al mio cammino
non ti colgo, ti nutro.
Appari ora,
pulsando pensieri rapidi,
come il fantasma meridiano,
apparizione di occhi e gambe,
pioppi digitali,
scalate ideali,
contenendo in te il libro mastro,
miniato,
del mio ruotare.
Canto per te la mia canzone,
a forza d’essere vento.